Quindi, questo “identikit” lascia un ampio ventaglio di possibilità, non sempre riconoscibili nell’immediato. La lista di questi habitat comprende:
- serbatoi, silos, recipienti e reattori;
- sistemi di drenaggio, reti fognarie, tubazioni, condotti, canalizzazioni, pozzi neri e fosse;
- gallerie, camini, caldaie, camere di combustione e forni;
- vasche, piscine e cisterne aperte;
- scavi di fondazione;
- celle frigorifere;
- stive di navi o aeromobili.
Tuttavia, l’elenco non è ancora esaustivo ed è evidente che l’espressione “ambiente confinato” non richieda necessariamente che tale luogo si trovi al chiuso. Inoltre, il problema è che lo stato di questi luoghi è “dinamico”. In pratica la loro pericolosità può variare nel tempo, anche rapidamente, a causa di reazioni chimico-fisiche successive e instabili.
Tenteremo qui di fare chiarezza sulla natura degli spazi confinati e parleremo delle strategie da adottare per garantire il lavoro in sicurezza. Iniziamo.
Tipologie di spazi confinati: caratteristiche che li contraddistinguono
Cosa si intende per spazio confinato? Come anticipato, non esiste un’indicazione univoca a riguardo. Per rispondere nel modo più completo possibile occorre affidarsi a quanto indicato nel D.lgs.81/08 e nel DPR 177/2011. Inoltre, è utile aggiungere alcune estensioni prese dallo standard internazionale Osha e dalla Guida operativa Ispesl.
Dalla sintesi di questi testi, oltre quanto già detto, si evince che gli spazi confinati sono luoghi ostili alla vita umana o non concepiti per la lunga permanenza di persone, a causa di:
- presenza di sostanze solide, liquide o aeriformi a rischio incendio/esplosione;
- riscontro di agenti nocivi, tossici, patogeni o materiali elettrici;
- carenza di ossigeno o di ventilazione sufficiente;
- rischio di caduta dall’alto, scivolamento, annegamento o schiacciamento;
- difficile accesso, evacuazione, soccorso e recupero degli operatori.
Spazi confinati normativa e limiti interpretativi
Il D.lgs.81/08 affronta gli ambienti confinati nei seguenti articoli:
- 66 – Lavori in ambienti sospetti di inquinamento – contempla l’accesso agli spazi confinati solo quando inevitabile e dopo accertata innocuità per gli operatori. Predispone l’utilizzo di DPI di III categoria in caso di atmosfera potenzialmente dannosa ed esige che l’ingresso consenta agevole estrazione.
- 121 – Presenza di gas negli scavi – prevede l’uso di DPI di III categoria e sistemi di comunicazione tra l’operatore e l’esterno dello spazio confinato. Vieta ai lavoratori di operare singolarmente e consente l’utilizzo di apparecchiature ATEX (dispositivi a prova di esplosione).
Il DPR n. 177/2011 interviene come “rinforzo normativo”, ponendo vincoli e direttive a imprese e autonomi che operano proprio in questo ambito, con lo scopo di creare un bacino di interlocutori qualificati e virtuosi.
Queste disposizioni di legge aggiungono dettagli al profilo degli spazi confinati, però lasciano la questione ancora aperta. Infatti, non chiariscono i confini della materia e non forniscono neppure particolari specifiche su procedure di soccorso o metodologie di valutazione del rischio.
Si tratta in sostanza di regole allo stesso tempo rigide e incerte. La tentazione è spesso quella di applicarle per eccesso, per difetto o solo a livello formale, con conseguenti rischi per la salute dei lavoratori. Purtroppo, a volte, accade addirittura che si attivino scorciatoie per aggirarle, trascurando minacce presenti, o potenziali, nei luoghi confinati.
Dunque, è necessario uscire da schemi che non tengono conto di un’analisi differenziale del rischio. Ogni situazione è un contesto a parte, in costante evoluzione. Solo questo approccio può garantire un adeguato livello di sicurezza nel lavoro in spazi confinati.
Misure di sicurezza in ambienti confinati: quali adottare
Tra le ragioni principali che rendono ancora debole la normativa, vi sono:
- una definizione ambigua di ambiente confinato (dovuta alla varietà di contesti, spesso specifici di ciascuna azienda);
- l’inadeguata attenzione delle ditte appaltatrici o subappaltatrici;
- la carente informazione e formazione degli operatori, sia teorica che pratica (dovuta anche all’assenza di disposizioni precise e al mancato obbligo di aggiornamento della formazione e dell’addestramento);
- la sottovalutazione dei rischi e l’inadeguata applicazione delle norme nelle attività e nella gestione emergenze.
Dunque, quali sono le misure da implementare per garantire un maggiore livello di tutela negli ambienti confinati? Anche se la disciplina ha molte debolezze, una svolta decisiva è dettata dall’applicare le norme codificate, ma accanto a questa buona prassi è necessario aggiungere che:
- il personale impiegato non sia inferiore al 30% della forza lavoro durante le attività in spazi confinati o presunti tali;
- gli operatori, e il datore di lavoro, qualora direttamente impegnato sul campo, siano correttamente formati con un addestramento pratico periodico e con almeno 3 anni di esperienza;
- vengano utilizzati DPI di III categoria e attrezzature idonee a norma di legge;
- il personale sia informato sui rischi ambientali, sui precedenti utilizzi degli ambienti confinati e sulle procedure di emergenza relative alla specifica attività, soprattutto in caso di lavori in appalto o subappalto;
- siano effettuate manutenzione, ispezione e bonifica degli spazi confinati prima dell’accesso dei lavoratori.
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